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PENSIAMOCI BENE: NON ABBIAMO UNA CAPITALE EUROPEA


UN’ EUROPA SENZA CAPITALE EFFETTIVA


Bruxelles è ritenuta dai più la capitale d’Europa perché sede delle più importanti istituzioni o forse, più semplicemente, perché non esiste notiziario o giornale che non citi a più riprese Bruxelles. In questa città c’è il parlamento europeo, ad esempio, che però viene diviso con Strasburgo e poi ci sono molte commissioni cioè dei ministeri. Borsella era il nome antico di Bruxelles che vuol dire <casa nella palude>. Tre idiomi caratterizzano la città che, molto probabilmente, è stata scelta come sede del parlamento perché fra i primi stati che costituivano la CEE - Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi - il Belgio con la lettera B, appariva primo nell’ordine alfabetico. In astratto, forse, a quel tempo si sarà pensato ad effettuare rotazioni nei vari stati fondatori. Il punto è che all’inizio del terzo millennio l’Europa NON ha ancora una capitale. E ci sarebbe da piangere o da ridere (a seconda dei punti di vista) se si dovesse discuterne. Perché? Perché intanto bisognerebbe di sicuro costruire una città-capitale, tutta nuova, che sia davvero una capitale efficiente e bella. Poi perché se domandassimo alla popolazione europea se esista una competizione fra gli stati che compongono la UE - e sono 28 - la maggioranza risponderebbe di si. Il vero cioè. Già perché gli stati nazionali all’interno della UE, e in concorrenza fra di loro, intanto non sono un’unione e in più bloccano sia la politica dell’Europa e sia quella degli stessi stati. Abbiamo bisogno di qualche cosa che accomuni di più. Bello sarebbe anche una scuola comune. Ma per incominciare sarebbe bello che tutti i cittadini dell’Europa avessero tutti quanti uno stesso passaporto con una stessa copertina dove non ci sia più la nazionalità ma soltanto il luogo di nascita etc.. Un unico modello rilasciato dai rispettivi stati, per incominciare. Qualche cosa che ci dia il segno di un’ Europa comune a tutti. Una cosa poco costosa ma assai utile e capace di indicare una integrazione e una somiglianza effettiva. Chissà!!

A.D.


Da Mauro Mellini riceviamo:

SE L’EUROPA SCEGLIE LA SUA EMARGINAZIONE

Se c’è un errore banale e mortale che possa oggi compiersi in Italia come in ogni altra parte d’Europa è quello di ritenere che l’alternativa per i Popoli del nostro Continente sia tra questo assetto semifederalista dell’Europa o, invece, il ritorno ad un assetto che con neologismo equivoco (è facile cambiando una consonante evocare i castrati che cantavano in teatro ed in Chiesa fino ai primi anni dell’800) è di moda definire “sovranista” cioè divisa, come nei secoli scorsi, in tanti Stati in lotta tra loro.

La realtà cruda è che la scelta cui inconsciamente andiamo incontro è tra conservazione e rinnovazione di un ruolo primario nella civiltà, sul potere culturale, economico e militare del mondo a essere emarginati, divenire un povero e stentato “quarto mondo” essere sopravanzati da Cina, Stati Uniti, Stati Asiatici e magari Africani. Non c’è oggi spazio e avvenire per entità corrispondenti ai vecchi Stati.

Questo assetto dell’Europa semifederalista è servito finora solo ad evitare di scannarci e ad amministrare il nostro declino economico.

Questa è la realtà.

Una scelta Europa SI’ – Europa NO è in sé inconcepibile: o l’Europa saprà darsi un assetto che ne faccia nuovamente il motore del progresso mondiale, dell’economia, della cultura, oppure dell’Europa, degli Stati Europei, di quella che è stato (nel bene oltre che nel male) il suo vigore morale e politico ben presto scomparirà anche la traccia.

L’alternativa è Europa concorde e ben organizzata come un grande Stato federale, oppure il rapido degrado, la pratica retrocessione, la fine di un ruolo millenario.

E’ possibile che non si comprenda che questa è la realtà e, soprattutto, che non si sappia compierla? Purtroppo, non solo in Italia, ma in modo più o meno grave ed evidente un po’ in tutti gli altri Paesi Europei la classe dirigente è oggi ad un livello che rende assai difficile pensare di vederla alle prese con grandi cose, grandi problemi.

Ci resta la speranza. Non è poco.

Mauro Mellini

16.10.2018

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