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E' MORTA CHIARA GIROTTO, VEDOVA DI PAOLO UNIVERSO

Ci dispiace molto annunciare che Chiara Girotto, vedova di Paolo Universo, ci ha lasciato. Gli è sempre stata vicinissima e tanto innamorata. Custode dei lavori di Paolo le piaceva avere quegli amici più cari al suo desco dove non mancava di far trovare un pollo cucinato a meraviglia e un buon vino. Serate indimenticabili al suono ritmico della poesia. L'asmministratore di sostegno ci ha detto che farà di tutto per far sì che la biblioteca di Paolo Universo sia donata al Comune, seguendo così la volontà di Chiara.

Come Iniziativa Europea avevamo pubblicato <DALLA PARTE DEL FUOCO>. Chiara era stata presente, una delle sue ultime uscite pubbliche, ed aveva apprezzato moltissimo.

Ecco la recensione del tempo:

Paolo Universo, un Rimbaud triestino

(da Il Piccolo del 14 nev 2005)

Talvolta, se si pensa a Silvia di Leopardi, vien quasi da immaginare circostanze un po' banali: una bella ragazza che muore, un uomo innamorato. Di storie così ce ne sono a migliaia. La differenza sta nel fatto che Leopardi ha dato parole a tutti per questo dolore. E' proprio questa discrepanza che viene in mente leggendo il poema «Dalla parte del fuoco»di Paolo Universo, poeta scomparso tre anni fa e ora pubblicato per merito dell'Associazione Iniziativa Europea ( Hammerle, pagg. 192) che presenterà il libro domani, alle 18, al caffè San Marco di via Battisti, per voce della curatrice Marina Moretti, di Valerio Fiandra, Claudio Martelli e Mario Colucci. Di Universo sono già state edite alcune poesie, una minuta selezione di testi giovanili, che a considerare il momento di composizione (intorno agli anni Sessanta, Settanta) diventano, non solo concettualmente, ma anche stilisticamente audaci (tra l'altro notati subito da Sereni che li pubblicò nell'«Almanacco dello Specchio» Mondadori). Per non parlare degli inediti. Il Paolo narratore e traduttore rappresenta la scoperta, non solo per l'eccezionale (e nuova) lettura di Rimbaud, uno dei suoi maestri, ma per il coraggio di guardare nel profondo questa città e i suoi (li)miti. In breve, la «scontrosa grazia» di Universo non è certo popolata di incanto. Di disincanto piuttosto, di consapevolezza e disillusione, capacità che fanno di Paolo il più lucido cantore di questa Trieste «mitteleuropatica», territorio che si crogiola, più che essere crogiolo di differenze integrate. «Dalla parte del fuoco» rappresenta il lavoro per cui l'autore si è impegnato per tutta la vita, cesellando e correggendo all'infinito il dattiloscritto, con costanza maniacale. Si tratta - come osserva Moretti nella postfazione - di una sorta di divina commedia della contemporaneità, con i suoi gironi ambientati in una Milano da bere, una Rinascente pensata nella sua struttura di bolgia dantesca, per fare un esempio, e il biglietto del tram quale mezzo di un eterno ritorno. Ma, ironia a parte, Universo ci accompagna dentro un lento disfacimento, storico e ideologico. Scrive ciò che la cultura tace, per dirla alla Blanchot, ciò che costituisce il segreto più inquietante delle nostre esistenze e senza il quale si precipita nella nevrosi o nella follia. La domanda insomma è quella di senso, spinta oltre il limite consentito dalle istituzioni. Cose da artisti, in genere, e Paolo Universo lo era a tutto tondo, al di fuori di qualsiasi ufficialità, restio fino al furore a ogni possibilità di presenza. Questo fu, in parte, un suo limite, ma certo è uno dei rarissimi autori a essersi sottratto completamente all'oggetto della sua critica, ad aver detto «No» come i suoi dannati compagni di viaggio (da Céline a Rimbaud). Paolo ha scritto sempre contro, reagendo a una cultura che lo soffocava, nel piccolo e nel grande, da Mondadori al circolo della domenica. Una vita tormentata dalla solitudine, quella con la S maiuscola, pagata a proprie spese nell'incapacità di accettare qualsiasi compromesso. Ed è proprio il senso di distacco, esclusione, finanche alla disperazione che «Dalla parte del fuoco» evoca, fino a farsi pura lirica nella sua parte conclusiva e più intensa, dopo il senso di fallimento di un'utopica rivoluzione: «Ah la mia vita di poeta drammatico - ci dice, - lirico fino alla pazzia». Dall'esperienza di copywriter milanese a utente del manicomio triestino, passando per gli entusiasmi sconfitti degli anni Sessanta, questo il tragitto che compie il protagonista dell'opera. Da un Dio a ventun zeri a un posto senza dio, senza possibilità alternative espresse anche nell'operazione linguistica, talvolta troppo ridondante, ma che ci dà l'idea di quella che Musil avrebbe chiamato «irrealtà», la realtà che abbiamo perso di vista venendo meno la disposizione etica all'esperienza. Connubio tra etica ed estetica insomma, con cui la poesia può essere più o meno d'accordo, ma intanto Universo ha ben ideato il suo calderone dove tutto viene stritolato, Shakespeare come Montale, Ginsberg come Sanguineti, l'immaginazione al potere, la vita fino alla morte. Forse oggi una simile trama può sembrarci un po' rétro, ma resta tuttavia il senso universale di parole nuove, in continuo movimento per descrivere le nostre disperazioni, come gli occhi fuggitivi di un dolore che è diffuso, ma inesorabile. Mary B. Tolusso

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